I trattamenti di fine vita sono molteplici e molto discussi in Italia: ecco cosa cambia fra le varie tipologie.
I discorsi sui trattamenti di fine vita sono diventati di primo piano in Italia grazie al caso di Dj Fabo, il cui vero nome è Fabiano Antoniani. L’uomo, a causa di un grave incidente in sella alla sua moto, aveva perso la vista ed era rimasto tetraplegico e nel 2017 aveva chiesto di porre fine ai suoi giorni.
La causa legale che la sua storia aveva generato aveva portato ad una decisione della Corte Costituzionale che ha stabilito che non è punibile chi aiuta un’altra persona a morire a patto che siano rispettati alcuni requisiti. Ma come funzionano i trattamenti di fine vita e quali sono le differenze fra le varie tipologie possibili?
La sentenza della Corte Costituzionale
Per la Corte Costituzionale, non è punibile chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
La non punibilità è attuata purché vengano rispettate “le modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017)e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.
Che cos’è l’eutanasia?
Il termine “eutanasia” deriva dal greco eu-thanatos e significa letteralmente “buona morte“. Rappresenta l’atto di provocare intenzionalmente e nell’interesse della persona, la morte di un individuo che ne faccia espressa richiesta.
Secondo la definizione fornita dalla Federazione Cure Palliative, l’eutanasia corrisponde all'”uccisione di un soggetto consenziente, in grado di esprimere la volontà di morire“. Nei paesi in cui l’eutanasia è legale, la richiesta viene soddisfatta dopo un percorso che consente alla persona di effettuare una scelta consapevole e autonoma.
L’eutanasia è illegale in Italia anche se spesso viene considerata un sinonimo del suicidio assistito, della sedazione profonda e della sospensione dei trattamenti. L’articolo 579 del codice penale definisce l’omicidio del consenziente: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, e’ punito con la reclusione da sei a quindici anni“.
Che cos’è il suicidio assistito?
Il suicidio assistito è l’atto in cui una persona pone volontariamente fine alla propria esistenza in modo consapevole, autosomministrandosi dosi letali di farmaci. Questo atto avviene con l’assistenza di un medico, noto come “suicidio medicalmente assistito”, o di un’altra figura che fornisce le sostanze necessarie.
In genere, il suicidio assistito avviene in luoghi protetti, dove terze persone si occupano di assistere il soggetto in tutti gli aspetti correlati all’evento della morte, come il ricovero, la preparazione delle sostanze e le procedure tecniche e legali post mortem.
Questa procedura è legale in Italia grazie alla sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Dj Fabo.
Quali sono le differenze fra Eutanasia e suicidio assistito?
Pur condividendo la volontarietà della richiesta e l’esito finale, ci sono almeno due differenze sostanziali tra eutanasia e suicidio assistito:
- Nell’eutanasia, il soggetto che ne fa richiesta non deve partecipare attivamente, poiché il farmaco letale viene somministrato da un medico, di solito attraverso via endovenosa. D’altra parte, nel suicidio assistito, la persona malata assume in modo indipendente il farmaco letale.
- L’eutanasia richiede un’azione diretta del medico, che somministra il farmaco, mentre nel suicidio assistito il ruolo del sanitario si limita alla preparazione del farmaco che il paziente assumerà autonomamente.
In entrambi i casi, queste richieste vengono sottoposte alla valutazione di commissioni di esperti e al parere di diversi medici, che non sono quelli che hanno in cura il paziente. Solo dopo un’attenta analisi delle sue condizioni cliniche, della qualità della sua vita compromessa e della sua piena libertà decisionale, viene data la possibilità di accedere agli interventi, nei paesi in cui sono consentiti.
Che cos’è la sedazione palliativa profonda?
La sedazione palliativa è l’atto intenzionale di ridurre la vigilanza mediante l’uso di farmaci, fino a provocare la perdita di coscienza, al fine di diminuire o eliminare la percezione di un sintomo che risulta insopportabile per il paziente. Questo viene attuato quando sono stati impiegati tutti i mezzi più appropriati per il controllo del sintomo, ma quest’ultimo risulta ancora refrattario e non risponde ai trattamenti convenzionali.
Quali sono le differenze fra eutanasia, trattamento di fine vita e sedazione profonda?
Ci sono almeno tre elementi distintivi tra la morte medicalmente assistita e la sedazione palliativa profonda:
- I farmaci: Nella sedazione palliativa, vengono impiegati benzodiazepine e neurolettici, generalmente in combinazione con oppioidi; mentre nel caso del suicidio assistito, di solito si utilizzano barbiturici ad alte dosi.
- Il tempo di decesso: Nell’eutanasia, il decesso avviene pochi minuti dopo la somministrazione del farmaco, nel suicidio assistito massimo mezz’ora, mentre nella sedazione palliativa profonda possono passare alcuni giorni prima del decesso.
- L’intenzione: Nell’eutanasia e nel suicidio assistito, l’intenzione è di porre fine alla vita, mentre nel caso della sedazione palliativa l’obiettivo è di fornire sollievo dalla sofferenza del paziente.
Cosa sono le DAT: disposizioni anticipate di trattamento
Molto spesso, nel discorso sui trattamenti di fine vita si inseriscono anche le DAT, acronimo per “disposizioni anticipate di trattamento“, anche se hanno poco a che fare con eutanasia e suicidio assistito.
Meglio conosciute come “biotestamento” o “testamento biologico“, consentono a ogni persona maggiorenne, mentalmente capace e in grado di intendere e volere, di esprimere il proprio consenso o rifiuto riguardo ad accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e trattamenti sanitari specifici, in previsione di un possibile futuro in cui non sarà in grado di comunicare la propria volontà.
Per essere valide, devono essere redatte solo dopo aver acquisito informazioni mediche adeguate sulle conseguenze delle decisioni prese con queste disposizioni. Le DAT non hanno una scadenza. Possono essere rinnovate, modificate o revocate in qualsiasi momento, utilizzando le stesse forme con cui sono state redatte. Tuttavia, esse non sostituiscono mai la volontà attuale della persona finché questa è in grado di prendere decisioni in autonomia.